VI MASTER BIENNALE POST-UNIVERSITARIO SLLA RESPONSABILITA' PROFESSIONALE DEL MEDICO. INFORMAZIONI , PROGRAMMA ED ELENCO RELATORI SU www.agisa.org
COLPA MEDICA: IV MASTER POST-UNIVERSITARIO IN CASSAZIONE
III MASTER POST-UNIVERSITARIO DI FORMAZIONE E
AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE
LA RESPONSABILITA’ PROFESSIONALE DEL MEDICO
INTERVENTO dello
Avv. Dario DE LANDRO
09 Febbraio 2007
APPROCCIO DELL’AVVOCATO CIVILISTA IN PARTICOLARE SULLA RESPONSABILITA’ DELLO SPECIALISTA ORTOPEDICO
CORTE DI CASSAZIONE
PALAZZO DI GIUSTIZIA – PIAZZA CAVOUR – ROMA
Ringrazio gli organizzatori di questo master – segnatamente la dott.ssa CHILLA’ e il Dr. BORZONE – per l’immeritato spazio riservatomi e mi complimento con gli autori degli interventi precedenti, il cui spessore aumenta il mio disagio da inadeguatezza. Mi intratterrò, comunque, con grande piacere sull’argomento, non ameno ma sicuramente di interesse.
Il mio intervento non avrà – e non potrebbe averlo – il taglio dottrinario ed esaustivo delle eccellenti altre relazioni o quello prettamente giurisprudenziale degli autorevoli Magistrati che ci hanno illuminato con le loro eleganti ed affascinanti esposizioni, ma tenterà comunque di illustrare l’angolo visuale di un avvocato civilista e dell’approccio che questi può avere trattando casi di responsabilità professionale medica, cosa, che, comunque, come è di tutta evidenza, è pur sempre utile, per relazionarsi con esso.
Alla nostra attenzione vengono alternativamente o clinici evocati in giudizio per presunte loro responsabilità professionali o i loro pazienti.
Mentre alcuna remora nell’accettazione dello incarico difensivo vi può essere, di regola, nel caso dei clinici, stante il diritto alla difesa che a questi va assicurato, perché soggetti che devono resistere alle pretese di pazienti presunti danneggiati, non dovrebbe esser sempre così nell’assumere la difesa di questi ultimi.
L’approccio corretto è quello che tiene anche conto della sensibilità del professionista, nel ns. caso del medico, al quale, certamente una taccia di imprudenza, imperizia o negligenza, per non parlare di dolo, può arrecare angustie, da evitare se ingiustificate. E questa è quella che, non senza alquanta ridondanza, vien definita anche deontologia .
Ma è soprattutto nell’interesse del cliente che si presume danneggiato dalle cure ricevute, che va affrontata con decisione, la questione dell’assumibilità o meno del mandato da parte dell’avvocato.
In questa decisione deve rivestire importanza centrale la consulenza medica di parte e il rapporto di fiducia tra avvocato ed estensore di quest’ultima.
Nel dubbio del legale, la consulenza può anche essere fatta ripetere presso altro specialista o struttura, per aver, alla fine, gli utili elementi di valutazione sulla esperibilità della domanda risarcitoria.
Così andranno evitate antipatiche speculazioni ed eccessi litigiosi e ci si dedicherà ai casi effettivamente meritevoli.
L’intervento del Dott. CANERO si è incentrato sulla responsabilità dell’ortopedico e, quindi, riporterò l’esperienza di un “caso” riguardante tale specializzazione
Lo stesso dr. CANERO ha operato dei “distinguo” tra la diagnostica e le altre attività e la traumatologia. Si deve dire, però, che il discrimine della responsabilità non è tanto diverso fra le singole specializzazioni, perché, ferme appunto, per tutte le specialità, le attenuazioni della soglia di responsabilità per gli atti urgenti, così per la traumatologia come per la chirurgia generale d’urgenza o la ginecologia e così via, valutazioni più rigorose di quelle canoniche vi sono, poi, solo in quei casi in cui l’atto chirurgico non sia strettamente necessario.
Penso, ad es., agli interventi di chirurgia meramente estetica – non ricostruttiva- laddove vi possono esser casi in cui il clinico dovrebbe rifiutarsi di intervenire ove ad es. il rischio alla salute possa essere prevedibile.
Quest’ultimo aspetto è stato , però, conclusivamente sviluppato dai precedenti relatori, che ci ricordano anche come , in tali casi, l’obbligazione possa esser considerata anche “ di risultato” e non solo “di mezzo “.
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Vediamo lo scenario che si apre all’operatore del diritto.
Abbiamo sentito, soprattutto dai Magistrati, che qualsiasi attività medica ha natura contrattuale, come da giurisprudenza ormai consolidatasi.
Ciò comporta che l’onere probatorio della parte danneggiata o presunta tale sia indirizzato anzitutto a provare il contratto. E , poi :
1)il danno o il maggior danno
2)il nesso di causalità tra detto danno o detto maggior danno e il trattamento medico ricevuto.
La C.T. deve provare dette circostanze, se esistenti.
Il paziente deve, insomma, provare solo, come ha precisato la Cassazione, in primis con la sentenza 10297/04 : “di aver ricevuto dal clinico e/o dalla struttura, che è convenuta in giudizio, l’aggravamento della patologia e/o l’insorgenza di nuova patologia per effetto dell’intervento medico”.
Se assolve a tale onere probatorio la giurisprudenza ritiene che non abbia altro onere.
Difatti, a differenza che in passato, non va più dimostrato che non vi fossero particolari difficoltà della prestazione medica (c.d. prova negativa).
Le Sezioni Unite, difatti, con sentenza 13533/2001 hanno statuito che compete al convenuto (il medico) dare la prova (positiva) dell’esistenza di particolari difficoltà. Sul punto, quindi, v’è sostanziale inversione dell’onere della prova e sarà il medico che dovrà provare il “fatto estintivo” costituito dall’adempimento.
OBBLIGAZIONI E CONTRATTI
Risoluzione del contratto per inadempimento: (inadempimento)
Il creditore che agisce in giudizio, sia per l'adempimento del contratto sia per la risoluzione ed il risarcimento del danno, deve fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto (ed eventualmente del termine di scadenza), limitandosi ad allegare l'inadempimento della controparte, su cui incombe l'onere della dimostrazione del fatto estintivo costituito dall'adempimento.
Cass. civ., Sez. Unite, 30/10/2001, n.13533
PARTI IN CAUSA
Gallo C. Ass. Centro culturale latino americano "El Charango"
FONTE
Foro It., 2002, I, 769, nota di LAGHEZZA
RIFERIMENTI NORMATIVI
CC Art. 1218
CC Art. 1453
CC Art. 1460
CC Art. 2697
Una buona consulenza medico- legale, non dovrebbe però esimersi dal fornire un contributo anche sul punto, per prevenire, per quanto possibile, cause di giustificazione (esimenti) della responsabilità del medico secondo quanto di cui all’art. 2236 c.c. e per fornire appunto agli operatori del diritto (Avvocati, Giudicanti e anche al C.T.U.) il proprio apporto in tema di particolari difficoltà e, in particolare, dell’eventuale inesistenza di dette.
Col che appare chiaro quanto dicevo prima e cioè la fondamentale importanza che riveste una illuminante consulenza di parte.
Vi sottopongo , a mo’ di esempio per l’applicazione dei principi enunciati , anche per ravvivare l’interesse , un caso concreto, che è quello di un paziente affetto da coxartrosi, che necessitava di intervento di protesi d’anca, praticato il quale, esitava sfortunatamente una lesione del nervo sciatico.
Questo caso si colloca nelle ipotesi non del “danno”, bensì del “maggior danno”.
E’ di tutta evidenza, difatti, che questo paziente aveva già di per sé una compromissione dell’articolazione in questione, che gli portava serissimi disturbi.
L’intervento gli ha risolto, come da casistica, il problema articolare, con un reliquato di postumi non ulteriormente riducibile, non fosse altro perché una protesi, peraltro necessitata, non può essere la stessa cosa della componente organica che va a sostituire.
Il danno biologico residuato dall’intervento protesico, per quanto corretto questo sia stato, è fisiologico e va imputato alla pregressa patologia di coxartrosi e non certo all’intervento medico.
Qui, però, v’è la conseguenza, inattesa, tantovero che non si rinviene neppure quale ipotesi nel documento di consenso prestato, della resezione dello sciatico.
Quest’ultima è il “maggior danno” di cui questo paziente si duole, rispetto a quello di cui si può dolere solo con la natura, che gli ha riservato la coxartrosi.
Il clinico, quindi, sarà chiamato a rispondere a titolo come si diceva, del solo “maggior danno” costituito dalla compromissione del nervo sciatico.
La valutazione di tale danno, però, non è del tutto isolabile stante il cosiddetto “sinergismo peggiorativo” di cui però ci occuperemo in seguito.
Il nesso di causalità materiale (che si può cominciare a considerare indipendentemente dal problema della condotta professionale), si potrà invece agevolmente affermare sulla base principalmente di due criteri: quello cronologico e quello topografico. Quanto al criterio cronologico, esso è qui soddisfatto perché si è constatato che, prima dell’intervento di protesi d’anca, il paziente non aveva deficit neurologici, in particolare allo sciatico.
Dopo il predetto intervento, si è manifestata una sindrome deficitaria, associata a persistente dolore, dovuta a grave sofferenza nervosa, accertata clinicamente e con indagini strumentali, segnatamente dall’esame elettromiografico.
Il criterio topografico è qui pure soddisfatto in quanto l’intervento in questione ha implicato anche manovre a livello dello sciatico.
In seguito la lesione nervosa è stata confermata a mezzo di altro esame elettromiografico.
La sofferenza nervosa è dunque qui di natura sicuramente iatrogena ed essa è in concorso di menomazione con la quota di postumi, (non isolabile s’è detto, come verrà poi, ripeto, meglio spiegato) direttamente connessa all’impianto protesico.
Questo paziente può anche motivatamente allegare e lamentare quanto la consulenza di parte dovrà evidenziare in aggiunta e cioè che, l’intervento di protesi d’anca non è, in linea di massima, a rischio di resezione del nervo sciatico. Il che dovrà pure essere oggetto di quesito in sede di CTU previa richiesta di spiegazione ad opera di parte convenuta.
E difficilmente, per non dire impossibilmente, potrà essere fornita una spiegazione di necessità di sacrificio del nervo.
Esaurito in tal modo l’onere probatorio in capo all’attore, cioè al danneggiato, la consulenza medica di parte potrebbe, si ripete, concludersi spettando a parte convenuta l’onere di dimostrare la correttezza dell’adempimento.
Tuttavia, come s’è pure già detto, è opportuna qualche ulteriore considerazione in ordine al problema della eventuale “speciale difficoltà” ex art. 2236 c.c. che il convenuto potrebbe allegare al fine di invocare una causa di giustificazione. E’ vero che talvolta i problemi che un chirurgo deve affrontare sono molteplici, ma in cartella clinica, nel nostro caso, l’ortopedico non ha registrato alcuna difficoltà.
Se si trattasse di imprudenza o di negligenza (a mente della sentenza n° 166 del 29 novembre 1973 della Corte Costituzionale) non sarebbe esimente neppure la particolare difficoltà, ma, ritornando al caso affrontato, ci troviamo piuttosto al cospetto di imperizia ed occorre allora aggiungere che la giurisprudenza di legittimità ha però quasi sempre, con poche eccezioni, adottato un criterio molto restrittivo nel riconoscere la “speciale difficoltà”, richiedendo che si tratti di casi eccezionali, mai incontrati in precedenza.
Nel nostro caso, invero, laddove peraltro lo sciatico è una innervazione cospicua e non certo microscopica, a meno di remote possibilità di varianti anatomiche, non v’è chi non veda come uno specialista ortopedico, alla luce dei mezzi di cui dispone la moderna medicina, non possa più allegare particolari difficoltà nel cimentarsi nell’impianto d’una protesi d’anca neppure nel caso di particolari magrezze od obesità, per le quali esistono adeguati protocolli.
In conclusione si deve ritenere che questo ortopedico avrà appunto ulteriori rilevanti difficoltà nel fornire la prova di un adeguato adempimento sia in ordine alla lesione iatrogena e nervosa – ormai irrimediabile, e causa delle gravi sintomatologie tuttora presenti – sia in ordine alla perizia dimostrata nella specie.
Questo è, allora , quindi, un caso assolutamente meritevole, almeno di attenzione e l’avvocato non deve avere, naturalmente, alcuna remora nell’accettarne le difese, quantomeno per approfondire le eventuali responsabilità del maggior danno.
Per prima cosa ne chiederà conto , con una nota inviata al clinico e alla struttura e, in caso di assenza di giustificazioni o di convincenti esimenti, notificherà la domanda di risarcimento.
E sin qui abbiamo esaminato, quindi, il cosiddetto “an debeatur” cioè se sia dovuto un risarcimento.
Ma utile è anche una breve sortita nel campo del “quantum debeatur”, che però sarà appunto breve sia per mancanza di tempo sia perché l’argomento, pure già discusso ampiamente, è invero un po’ più arido e da “addetto ai lavori”, più precisamente per operatori del diritto.
Il caso prospettato, riguardando un danno d’una certa gravità, richiede il ricorso ad una metodologia valutativa medico-legale più aggiornata, il che non è sempre necessario nel caso di danni di modesta entità.
Riepilogo solo, quindi, che ormai le poste dei danni, si riconducono a queste tre categorie :
La prima è :
Il danno patrimoniale: che è quello che il soggetto patisce per una diminuzione della sua capacità di produrre reddito oppure per il depauperamento diretto, ad es. per le spese effettuate.
La seconda è :
Il danno non patrimoniale: in detto rientra il danno morale, quale è quello secondario ad un reato, nel ns. caso quello di lesioni colpose. Rientra pure, ormai, il danno biologico come compromissione del bene “salute” o addirittura “vita”. Nella liquidazione del danno biologico, specie quando non si tratti di danni micropermanenti (sino al 9% di I.P.) si può e si dovrebbe tener conto anche della qualità soggettive del danneggiato . Per la verità anche per le micropermanenti se ne dovrebbe tener conto nei casi di invalidità specifica. L’esempio scolastico è della lesione all’udito del 9% o anche meno, patita da un accordatore di strumenti. L’aliquota di postumi incidenti sulla capacita lavorativa può essere anche diversa e lo è spesso in minus, rispetto a quelle da danno biologico.
Al di là del danno biologico, ormai come sapete, sempre più liquidato con riferimento a tabelle preconfezionate e che viene definito danno biologico “statico”, il quale tiene conto del tasso di invalidità e dell’età, se vi è compromissione della capacità lavorativa, va liquidato, a parte, allora, un risarcimento detto danno biologico “dinamico”, che tenga conto anche del reddito, oltre ai parametri medicati in precedenza.
In effetti le tabelle del danno biologico statico cui facevo riferimento tengono conto dell’aliquota dei postumi permanenti e dell’età, ma sono indifferenti al reddito, considerandolo convenzionalmente sempre quale quello della pensione sociale triplicata. E’ giusto invece che, se, come dicevo, anche la capacità lavorativa venga compromessa, sia prevista una ulteriore forma risarcitoria, parametrata al reddito antecedente. Approfondiremo appresso.
La terza, infine, è :
il danno esistenziale: detto potrebbe sussistere anche nel caso non vi sia danno biologico, ma è più infrequente. Il danno esistenziale risiede nelle varie conseguenze dannose esistenziali del paziente, secondarie al danno biologico, che siano in nesso causale con le cattive cure ricevute. Dette conseguenze possono riverbarsi sia nella vita puramente relazionale del soggetto (con difficoltà nell’espletare attività dinamiche, ginniche, di puro e semplice relazionamento ecc.), ma anche nella frustrazione della incapacità di produrre reddito o nel vederne scemate le possibilità.
Si comprende bene, allora, come una lesione come quella del nervo sciatico, di natura iatrogena, debba trovare riparazione pecuniaria non solo con riferimento al danno morale e al danno biologico (statico - a parametri oggettivi e - dinamico - a parametri soggettivi -), ma anche al riguardo del danno esistenziale, genericamente realizzata dai giudicanti mediante il c.d. “appesantimento” del “valore punto”. Si applica cioè un incremento equitativo, al calcolo tabellare.
Si tenga conto che, previamente, nel caso che ho posto ad es., la valutazione stessa del danno biologico non debba esser riferita al solo secco dato secondario alla lesione dello sciatico, ma aumentata d’una certa aliquota, perché il danno iatrogeno concorre a rendere più grave lo stato di salute del danneggiato, già comunque compromesso degli esiti di coxartrosi per quanto detti, siano stati, ben curati, con la tutto sommato corretta istallazione protesica. Ciò per il pure detto all’inizio sinergismo peggiorativo.
Per completezza va detto, poi, che anche ove il danneggiato non possa allegare un danno da “specifica” cioè da compromissione della possibilità di esercitare la specifica attività, in precedenza svolta, dottrina e giurisprudenza ormai hanno sostenuto comunque la risarcibilità del danno da compromissione della capacità lavorativa generica.
Diversamente vi sarebbe una discriminazione, ad esempio per i soggetti giovani, che non potevano utilmente allegare nessuna specifica attività lavorativa, la quale invece, ora, viene riconsiderata, più precisamente come perdita della capacità lucrativa potenziale o futura.
Infine occorre pure segnalare che appena nell’anno 2004, la Cassazione (con sentenza n° 4400) ha affermato anche la possibilità di richiesta di perdita di “chances” a causa dell’inadempimento colpevole, con esclusione dell’evento eccezionale, ma con riferimento alla compromissione di concrete possibilità .
RESPONSABILITA' CIVILE
Danni
La chance (o concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene o risultato), non è una mera aspettativa di fatto, ma un'entità patrimoniale e sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione, onde la sua perdita, (id est la perdita della possibilità consistente di conseguire il risultato utile del quale risulti provata la sussistenza), configura un danno concreto e attuale. Tale danno, non meramente ipotetico o eventuale (quale sarebbe stato se correlato al raggiungimento del risultato utile), bensì concreto e attuale (perdita di una consistente possibilità di conseguire quei risultato) non va commisurato alla perdita del risultato, ma alla mera possibilità di conseguirlo.
Cass. civ., Sez. III, 04/03/2004, n.4400
PARTI IN CAUSA
Bellasio e altri C. Gestione Liquidatoria Usl 68 Rho
FONTE
Guida al Diritto, 2004, 16, 56
RIFERIMENTI NORMATIVI
CC Art. 1176
CC Art. 1226
CC Art. 1375
CC Art. 2043
Questa disamina non deve , però, alimentare ansie eccessive , perché, conclusivamente, si può dire, intanto, che gli eccessi di litigiosità cui assistiamo, specie da ultimo, restano tali.
Anche se sorgono addirittura associazioni o organizzazioni specializzate unilateralmente nelle difese di pazienti presunti danneggiati da atti chirurgici o comunque da cure mediche, equilibrio vuole che non ci si debba preoccupare eccessivamente di ciò, quanto piuttosto, invece, d’una condotta professionale diligente, prudente -senza che ciò significhi pericoloso attendismo - e competente grazie ad una sufficiente, adeguata, preparazione e ad un periodico aggiornamento.
Se si ritiene il caso da affrontare dubbioso o complesso si potrà ricorrere, come peraltro senz’altro si fa , a consulenze, da non lesinare come peraltro da non abusare, secondo quella giusta misura che la coscienza sicuramente indica ed avendo cura di segnalarne la richiesta nelle certificazioni, riportandone poi gli esiti nella documentazione sanitaria stessa.
Ecco, va prestata adeguata attenzione, ma anche qui senza giungere a paranoia, agli aspetti per così dire burocratici.
Quindi una corretta e puntuale redazione delle certificazioni, in particolare della cartella clinica, in tutte le sue varie componenti di anamnesi, diario clinico, prescrizione di indagini opportune e non esuberanti come già s’è detto, sono imprescindibili se si vogliono prevenire sinistrosità.
Sul consenso, in particolare, come su tanti altri aspetti, vi hanno pure già riferito gli altri relatori.
La chiarezza e la sicurezza che il paziente abbia compreso le cure da praticare sono determinanti.
Ormai le varie associazioni professionali forniscono modelli standard più o meno validi, ma , specie in casi peculiari, un’esplicazione ulteriore, ad hoc, personalizzata, non va risparmiata.
Va richiamata l’attenzione, poi, sul fatto che, nel documento di prestazione del consenso, le parti aggiunte a quelle prestampate hanno comunque un maggior rilievo di queste ultime e possono essere indiziarie d’una informativa effettivamente approfondita.
Con queste minime attenzioni, erette a regole, tutti i professionisti, non solo i medici, possono portare avanti il loro lavoro, che è fatto, poi, sempre sia di soddisfazioni che di problematiche, dalle quali è esente solo chi non lavora.
Una buona copertura assicurativa, come abbiamo sentito è, poi, indispensabile e prima di stipularla è bene farne controllare le clausole, come ad esempio quella della decorrenza delle garanzie.
Si potrebbe sicuramente continuare , ma non posso abusare oltre con le mie ovvietà e ripetizioni, che i miei limiti mi hanno portato a fare e così mi congedo sperando comunque che sia riuscito a rappresentarVi, come era nei miei intenti, senza pretesa di esaustività dato il tempo ridotto, le modalità di approccio all’argomento da parte dell’avvocato civilista di modo che, se del caso, se ne tenga conto, come vi ho detto all’esordio di questo mio intervento.
Vi porgo così i miei saluti, ringraziandoVi dell’attenzione.